sabato 17 marzo 2012

  • Poesia

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  • Io sono una lampada ch'arda
    soave!
    la lampada, forse, che guarda
    pendendo alla fumida trave,
    la veglia che fila;
    e ascolta novelle e ragioni
    da bocche
    celate nell'ombra, ai cantoni,
    là dietro le soffici rócche
    che albeggiano in fila:
    ragioni, novelle, e saluti
    d'amore, all'orecchio, confusi:
    gli assidui bisbigli perduti
    nel sibilo assiduo dei fusi;
    le vecchie parole sentite
    da presso con palpiti nuovi,
    tra il sordo rimastico mite
    dei bovi:

    II
    la lampada, forse, che a cena
    raduna;
    che sboccia sul bianco, e serena
    su l'ampia tovaglia sta, luna
    su prato di neve;
    e arride al giocondo convito;
    poi cenna,
    d'un tratto, ad un piccolo dito,
    là, nero tuttor della penna
    che corre e che beve:
    ma lascia nell'ombra, alla mensa,
    la madre, nel tempo ch'esplora
    la figlia più grande che pensa
    guardando il mio raggio d'aurora:
    rapita nell'aurea mia fiamma
    non sente lo sguardo tuo vano;
    già fugge, è già, povera mamma,
    lontano !

    III
    Se già non la lampada io sia,
    che oscilla
    davanti a una dolce Maria,
    vivendo dell'umile stilla
    di cento capanne:
    raccolgo l'uguale tributo
    d'ulivo
    da tutta la villa, e il saluto
    del colle sassoso e del rivo
    sonante di canne:
    e incende, il mio raggio, di sera,
    tra l'ombra di mesta viola,
    nel ciglio che prega e dispera,
    la povera lagrima sola;
    e muore, nei lucidi albori,
    tremando, il mio pallido raggio,
    tra cori di vergini e fiori
    di maggio:

    IV
    o quella, velata, che al fianco
    t'addita
    la donna più bianca del bianco
    lenzuolo, che in grembo, assopita,
    matura il tuo seme;
    o quella che irraggia una cuna
    —la barca
    che, alzando il fanal di fortuna,
    nel mare dell'essere varca,
    si dondola, e geme—;
    o quella che illumina tacita
    tombe profonde—con visi
    scarniti di vecchi; tenaci
    di vergini bionde sorrisi;
    tua madre! . . . nell'ombra senz'ore
    per te, dal suo triste riposo,
    congiunge le mani al suo cuore
    già róso!—

    V
    Io sono la lampada ch'arde
    soave !
    nell'ore più sole e più tarde,
    nell'ombra più mesta, più grave,
    più buona, o fratello!
    Ch'io penda sul capo a fanciulla
    che pensa,
    su madre che prega, su culla
    che piange, su garrula mensa,
    su tacito avello;
    lontano risplende l'ardore
    mio casto all'errante che trita
    notturno, piangendo nel cuore,
    la pallida via della vita:
    s'arresta; ma vede il mio raggio,
    che gli arde nell'anima blando:
    riprende l'oscuro viaggio
    cantando
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