domenica 2 giugno 2013

Poesia per la 3C

ODE DELLA VENDETTA

Sempre caro mi fu a fine anno
comporre una picciol rima
sui miei alunni e sul grande affanno
che mi han causato fin dalla Prima,
quando entrarono in classe allora,
le gambe tremanti, la lingua bloccata,
ma gli bastò poi una mezz’ora
per capir come sarebbe andata.

Certo fu a tutti da subito evidente
che si trattava di una classe intelligente;
una classe tutta pepe, tutta fuoco,
ma che di sicuro ha studiato poco,
ed è per questo che qui mi sfogo,
rigorosamente in ordine alfabetico.
Qualcuno lo spenno, qualcuno lo affogo,
qualcuno lo rovescio con gesto atletico.

Chi è la prima? Che cosa vuol?
Col suo sorriso smagliante mi punta il dito
sul ventre e dice: “Io sono Nicole”;
ride di più, se mi vede inviperito.
Poi mi fa un tema e sbaglia tutti gli accenti,
la interrogo e mi risponde tutta a orpelli,
ma alla fine mi dico che, accidenti,
come parrucchiera può farmi barba e capelli.

Jacopo, invece, fin dal primo giorno
tremava come di mio nonno la dentiera,
o come un attore di un film porno,
vedendo la sua partner tutta intera;
ma in tre anni si è calmato assai,
tant’è che adesso dorme ed è quasi fermo
e di andare in bagno non mi chiede mai;
non apre neanche più la valvola del termo!

Silvia B. invece, seduta in primo banco
o anche nell’ultimo, non cambia niente,
è sempre attenta e non presta quasi mai il fianco
a chi la vorrebbe meno diligente;
ma quando è fuori dalla scuola,
dio! non sta zitta un momento
e quando è in Spagna oppur da sola
parla anche coi sassi e col cemento.

Niccolò è quel ragazzotto che par
aver voglia di studiare dopo le medie;
deve farsi una posizione da (piccolo) bar,
ossia stravaccato su tre sedie.
E quando un giorno gli ho chiesto
che scrisse mai il Manzoni, santa pazienza,
mi ha risposto sicuro e lesto:
un romanzo di fantascienza!

Boia mondo e porco cane, ecco là colui
che ancor ci chiediamo come ne siamo usciti indenni;
quante occasion perdute, che tempi bui,
cercare di insegnar qualcosa a Danny!
Certo, qualcosa in tre anni ha imparato,
come lanciare il sasso e nascondere la mano;
per questo agli esami mi sentirò onorato,
se di paura gli farò tremare l’ano.

Si chiama Carlo il suo vicino
e da grande vuole fare lo scienziato:
son tre anni che ogni dì esamina il panino
che mamma o nonni gli hanno portato.
Quando era in banco con una fanciulla,
si può dire che alla lingua metteva l’ali;
se gli dicevo “Taci”, non ottenevo nulla
e mi guardava storto dietro gli occhiali.

Letizia, invece, è l’esatto opposto:
lei non fiata, io non mi lagno,
ma vorrei vederla uscir dal posto
non solo per chiedermi di andare in bagno!
Vorrei vederla far le capriole e le linguacce,
urlare e arrampicarsi sui muri come i ragni,
persino dire quattro o cinque parolacce,
insomma fare quello che han fatto i suoi compagni.

Ed ecco madamigella Anna, che se fa una mossa,
si vede come un pavone che fa la ruota:
io la richiamo, lei diventa tutta rossa;
io la guardo per mezz’ora, lei non mi nota.
Lei non parla, chiede solo una cosa alla compagna;
lei non si distrae, anzi sta sempre attenta,
solo che è troppo lontana dalla lavagna
per seguire la lezione, che è anche troppo lenta.

La prossima è una ragazza un poco in crisi,
si sta chiudendo e io vorrei che s’apra;
è intelligente, simpatica, tutta sorrisi,
ma non sa il suo nome e io la chiamo capra.
E sebben dica in giro che ho il mento doppio,
la pancia tremolante e delle grosse tette,
giuro che il prossimo anno, anche se scoppio,
di alunne come lei ne vorrei quarantasette.

Ora c’è Beatrice, splendente come un baleno,
balsamica come d’ossigeno una boccata;
vorrei avere ottantadue anni in meno
e le chiederei di farmi da fidanzata.
Però non so, se durerebbe più di una settimana,
dato il suo carattere un po’ nervoso:
ride anche ascoltando musica australiana,
è proprio meglio se non la sposo.

Qualche volta in classe c’era anche ‘sto ragazzino,
ma io l’ho visto meno della mamma sua;
lui spesso era assente, a casa con la bua,
mentre la genitrice era a spasso con il mastino.
Vedendo sempre lei, c’è mancato poco,
che un giorno le dicessi “Buongiorno signora Niccolò”;
lui veniva a scuola ma per gioco,
non si è impegnato tanto, ma solo un po’.

E Luca, che è un asso nel giocare a scacchi,
ma non conosce né maiuscole né accenti?
Ha gli occhi che si chiudono e i piedi stracchi,
ti dice “Niente, niente”, se quel che ha detto non lo senti.
Chiedo: “Qual è la poesia che ti è più piaciuta?”
Risponde: “Nessuna prof, a dire il vero”.
In questo modo se stesso non aiuta;
mi vien da dargli otto, ma meriterebbe zero.

Se in Francia c’è stato Filippo il Bello,
Filippo e basta abbiamo avuto in classe;
con gli occhi azzurri e pur senza castello,
in Spagna era strapieno di ragasse.
Dev’essere l’amore che lo portava
a fare scherzi a molti dei suoi amici;
colto in flagrante, lo dichiarava:
io lo perdono, anche i capelli ritornano felici.

Ecco Matteo che vorrei proprio vedere,
quando avrà anche lui la mia età:
con tutto ciò che mangia, il mio sedere
sarà del suo appena la metà.
Ogni mezz’ora ha bisogno di andare al gabinetto,
e se non lo lascio, sguscia come un rettile;
più che incontinenza, ho il sospetto
che sia davvero disfunzione erettile.

Sotto il banco Nicola fa le sue cose,
tipo destrutturare un motore a scoppio;
incrocia le sue gambette pelose
e scrive certo, ma in un tempo doppio.
Io ho già finito di dettare il testo,
lui chiede appena qual è il titolo;
quando una ragazza lo spronerà a far presto,
guardandoselo dirà: «È ancora in fase di gomitolo!».

Un po’ in disparte, di poche parole,
sta una ragazza che pare un mazzo di violette;
ma nelle prove Invalsi mettere non vuole
così a caso – come le ho detto - le sue crocette.
Non dice molto, la timida Rebecca,
s’impegna, ma non si esprime che a spezzoni;
solo si arrabbia se ogni tanto il prof Stecca,
dice il peggio possibile su Berlusconi.

Pupillo dell’insegnante di matematica
(non so se per il cervello o per il fisico)
Francesco delle donne ha una gran pratica;
come le vuole, però, non lo specifico.
L’ha detto lui, un giorno in piena lezione,
chi c’era, ha riso, chi non c’era, non lo saprà.
Diciamo solo che le vuole brave e buone,
a far che cosa, ognuno lo immaginerà.

Il primo dì di scuola tremava tutto,
non certo una settimana dopo;
studiare gli sembra troppo brutto,
senza un motivo, senza uno scopo.
Cosa voglia da grande non è un mistero:
macchine e donne in abbondanza,
niente lavoro, niente fatica per davvero,
tanto denaro da riempirci una stanza.
Se così sarà, mio caro Elia:
ricordati di chi ti ha scritto la poesia!

Quanto tempo ho perso con le sue domande,
fatte solo perché suonasse la campanella!
Tipo: Garibaldi aveva le mutande?
Perché la Laura del Petrarca restò zitella?
Il fatto è che ancor prima di avere i baffi
Alessandro avea già una faccia da schiaffi;
qualcuno l’ha preso e me ne vergogno,
qualcuno, ahimè, gliel’ho dato solo in sogno.

Se dovessi riconoscerla soltanto dalla voce,
Maddalena non la saprei trovare;
nemmeno Cristo quand’era in croce
è stato così tanto senza fiatare.
E dire che dietro la sua apparenza tanto quieta
si nasconde uno spiritello, un folletto;
spero almeno che sia felice e lieta,
mentre guarda i ragazzi da dietro l’occhialetto.

Cammina e inciampa, parla e sbaglia,
le pagine dei suoi quaderni son tutte rotte;
si sente accusato, perché ha la coda di paglia,
però davvero è la nostra mascotte.
La mia prossima classe, poveretta,
sarà un obitorio senza Simone;
ma non posso lasciarlo senza una vendetta,
perciò gli dico: Baciami il culone!

Dov’è andata? Dove si è nascosta?
È incredibile la capacità di Anita
di eclissarsi – lo fa apposta –
persino dietro un mozzicone di matita!
Così si fa eternamente gli affari suoi:
di cose strane c’è un gran maneggio
sotto il suo banco; a volte crediamo pure noi
di essere con gli scout sempre al campeggio.

Tocca a Eleonora: lei mi critica,
anche quando mi esprimo normale
e mi sostiene, solo se parlo di politica.
Ma se faccio un’allusione di tipo sessuale,
persino i denti le diventan rossi.
Però con lei proprio non mi tedio,
soprattutto quando imita il Bossi,
come una scimmia con il dito medio.

Di Silvia P. nessun sa meglio,
chissà perché, quanto fa sei per otto.
Sempre gentile e dall’occhio sveglio,
non m’ha mai detto quanto le ho rotto.
Di poche parole come un saggio,
ha bisogno di una leggera spinta;
perciò le dico: “Dai, coraggio!
Tira fuori un po’ di grinta”.

Questa signorina lunga e atletica,
che la mamma sgrida invano, è Valeria:
qualche volta è un po’ bisbetica
e solo in apparenza ti sembra seria.
Prende tutto alla leggera, meglio per lei,
in fondo sa moltiplicare uno per sei,
e se poi mi deve fare un tema,
scrive a casaccio, ma mica trema!

Con l’ultimo maschio della classe
mi voglio togliere un capriccio
e dire finalmente senza impasse
ciò che penso di Mattia il riccio.
Stai già tremando, spilungone:
pizzichi le donne, agli amici fai lo sgambetto,
pisci fuori dalla tazza e dici sornione:
«Ma io non sono andato al gabinetto!»

Come tra le chiappe un mazzo di ortiche,
ti ho sopportato per tre anni, Alessandrona;
sei amata da tutte le tue amiche
e anche Gandalf il bianco ti perdona.
Perché se mi hai tormentato così tanto,
l’hai fatto sempre con un sorriso,
ma sappi che quasi nessuno è santo
e pochi hanno una villa in paradiso.

Ecco, anche stasera ho un po’ scherzato,
ma mica tanto, se osservate con attenzione.
Ma per finire mi faccio serio ed educato
e vi impartisco l’ultima lezione.
Spero che da me abbiate imparato
ad affrontar la vita con decisione;
spero almeno di avervi insegnato
a diventar da grandi brave persone.