mercoledì 25 luglio 2012

Perché non smettiamo di bere Coca-Cola?

POSTATO dal prof d’italiano:

Per questo post (un interessantissimo articolo di la Repubblica del 24 luglio 2012) ho scelto un titolo che attirasse l’attenzione dei miei alunni, ma penso che veramente potremmo tutti boicottare la Coca-Cola (e le bibite gasate in genere) visto che
1° fa male allo stomaco
2° è una multinazionale che si arricchisce enormemente a spese nostre
3° tiene segreta la propria ricetta (perché? Solo per non essere copiata?)
Inoltre, non bevendo Coca-Cola
4° boicotteremo anche il Sudan e il suo presidente assassino
5° eviteremo, forse, di sentire la pubblicità della Coca-Cola che si fa, soprattutto a Natale e che io trovo massimamente detestabile.
Buona lettura… e attendo conforme di avvenuto boicottaggio!

Sudan, la fine della gomma arabica
lattine vuote per Coca-Cola e Pepsi

Di Pietro Veronese
Una pericolosa minaccia alla sopravvivenza del mondo occidentale cova a sud del Sahara. Immaginiamo che la Coca-Cola perda la sua tinta bruna e diventi un liquido trasparente come tanti altri; che il gusto amarognolo non venga più temperato dallo zucchero se non dopo averla energicamente mescolata, perché tutto il dolce è andato a depositarsi sul fondo della bottiglietta o della lattina. Tale sarebbe la catastrofe in agguato dovesse rarefarsi l'approvvigionamento di gomma arabica, benedetta sostanza naturale la quale ha, tra molte altre, la qualità di tenere in sospensione coloranti e dolcificanti nei liquidi per uso alimentare. E di cui la Coca-Cola, la Pepsi e tantissime altre bibite fanno insostituibile uso. La domanda globale di gomma arabica non fa che aumentare. È cresciuta di circa il 40 per cento nell'ultimo decennio del secolo scorso e più o meno altrettanto nel secolo attuale. Ma il suo primo produttore mondiale, il Sudan, è da tempo in difficoltà. Due successive invasioni di cavallette, all'inizio degli anni Duemila, causarono la perdita di migliaia di esemplari di Acacia senegal, l'albero da cui si estrae la gomma arabica; il deterioramento ambientale dovuto al cambiamento climatico mina ulteriormente la sopravvivenza della preziosissima pianta; il conflitto del Darfur ha destabilizzato quasi l'intera regione produttrice. Risultato: la quota sudanese del mercato mondiale è scesa dall' 80 per cento della seconda metà del Novecento all'attuale 50. Si aggiunga il fatto che il governo del Sudan gode di fama disastrosa fuori dai confini. Il suo presidente, Omar al Bashir, è formalmente un ricercato del Tribunale penale internazionale, che lo accusa di genocidio e altri crimini contro l'umanità commessi in Darfur e ne chiede da tempo l'arresto. È minacciato di nuove sanzioni per la feroce aggressione contro i Nuba del Sud Kordofan e le popolazioni del Blue Nile; è in uno stato di guerra intermittente con il Sud Sudan, resosi indipendente un anno fa. Tutto questo ne fa un paria della comunità internazionale e chi è in affari con imprese sudanesi spesso e volentieri fa di tutto perché non si sappia. Per questo nel maggio del 2007 l'ambasciatore sudanese a Washington, John Ukec Lueth Ukec, tenne una memorabile conferenza stampa circondato da bottigliette di CocaCola, minacciando il blocco delle esportazioni di gomma arabica. Da allora le cose non sono certo migliorate per il Sudan. Altro che «dono di Dio», come l'ad della Gum Arabic Company, monopolista dell'export sudanese, definì la sua merce in un'intervista alla National Public Radio americana. Designata nell'industria alimentare con la sigla E414, la gomma arabica, i cui molteplici benefici sono noti sin dai tempi dei faraoni, viene usata in un'infinita varietà di modi. L'impiego più universalmente diffuso è senz'altro come emulsionante e stabilizzante nelle bibite gassate. Ma la si ritrova anche nel vino, nelle caramelle, nei confetti, negli americanissimi marshmallows e, fuori dai supermercati, in colori e vernici, in svariati prodotti estetici e farmaceutici come creme e pomate, nelle cartine per sigarette o sul retro di etichette e buste come collante. Gli antichi Egizi ci bagnavano le bende con le quali fasciavano le mummie. Gli africani di oggi la usano in medicina, nell'edilizia, per tingere le stoffe. La produzione totale è di circa 60mila tonnellate all'anno. Di queste grosso modo la metà vengono dal Sudan e un altro terzo dal Ciad. La gomma arabica si ricava da un'unica pianta, l' Acacia senegal, come la chiamò il suo primo classificatore, anche se oggi cresce piuttosto nell'interno del continente, nella fascia semiarida subito a sud dello sconfinato deserto settentrionale. Nell'arco di circa cinque mesi, tra fine dicembre e inizio giugno, i raccoglitori ne incidono la corteccia per fare fuoriuscire la linfa che, seccando, assume una forma a grani: quella è la gomma arabica. È una tecnica in apparenza semplice, ma che richiede abilità, cautela e conoscenza, oltreché fatica. La cattiva fama internazionale del governo sudanese precede di molti anni il conflitto del Darfur. All'epoca dell' attentato alle Torri Gemelle, nel 2001, si diffuse negli Stati Uniti una leggenda metropolitana che attribuiva a Osama Bin Laden una partecipazione diretta nella produzione della gomma arabica. La falsa notizia dette vita, ancorché brevemente, a un movimento che chiedeva il boicottaggio dei prodotti contenenti l' E414. Alla fine dovette intervenire addirittura il dipartimento di Stato. È vero, precisò, Osama Bin Laden ha risieduto a lungo in Sudan e investito notevoli capitali nell' agricoltura locale: ma nel 1996 è stato cacciato dal Paese e ha liquidato tutti i suoi possedimenti (con perdite colossali). Il chiarimento non impedì che la Coca-Cola continuasse ad essere assediata da proteste e interrogazioni tanto da ritenere necessaria un'ipocrita smentita: non importiamo nulla direttamente dal Sudan, dichiararono i suoi dirigenti. Basta scorrere Wikipedia, tuttavia, per capire che non c'è alcun bisogno di entrare in rapporti diretti con un esportatore sudanese. La Francia è pressoché monopolista dell'import-export mondiale della gomma arabica; anzi la sua quota globale si è accresciuta nel XXI secolo raggiungendo il 90 per cento del mercato. La Gran Bretagna è ferma al 10. Questo monopolio fu raggiunto dapprima nel XVIII secolo, con un conflitto feroce e prolungato ricordato nei libri come la «Guerra della gomma». La vita complicata dell'ottima gomma arabica è dunque una vecchia storia.





Iceberg

POSTATO dal prof d’italiano:

A chi è interessato alle calotte polari, questo articolo di la Repubblica del 23 luglio 2012.

Groenlandia
Sulla montagna dove nascono gli iceberg

Di Dario Olivero
TASIILAQ (Groenlandia) - "Lo vedi quel promontorio laggiù? Qualche mese fa un iceberg si è spezzato, si è ribaltato e ha travolto un umiak, un kayak che trasporta le famiglie. Sono morti padre, madre, due figli. Si è salvato solo il terzo bambino". Julius ha trentatrè anni, è un meticcio, mezzo danese per parte di occhi e mento, mezzo inuit per parte di barba rada e capelli neri e sottili. Ha quasi fermato il motore della barca per raccontare la tragedia avvenuta poco al largo di Ikateq. Marinaio nei corti mesi estivi, cacciatore di foche tutto l'anno, Julius sa bene, come tutti gli ammassilimiut, gli inuit della costa orientale della Groenlandia, cosa vuol dire convivere con gli iceberg.
Ikateq è un villaggio fantasma sul Sermilik, uno dei fiordi principali che tagliano il sessantaseiesimo parallelo. Gli inuit lo usano come base per la caccia, ora non c'è nessuno: case di legno costruite su basi di cemento, pali, corde e resti di bambole, carriole, trattori, pneumatici, qualche scarpa e tutto quello che gli inuit, in omaggio alla loro mai redenta natura nomade, abbandonano quando non serve più.
Anche la chiesa, la prima edificata in Groenlandia per portare la buona novella a un popolo che forse già la conosceva visto che ancora oggi vanta una percentuale di delitti e criminalità praticamente irrilevante, sembra appena stata abbandonata a metà di una funzione e se non fosse per la croce sul tetto, non si distinguerebbe dalle altre case. Quello che si vede dal villaggio è quello che vede Julius tutti i giorni: un braccio di mare completamente attraversato dagli iceberg. In questo periodo il ghiaccio ha bloccato entrambi gli ingressi del vicino Johan Petersen Fjord, via che porta dritta alla calotta polare.
La fabbrica che alimenta di ghiaccio il mare è composta di tre ghiacciai che gettano come eterni mulini di Amleto, parti di se stessi in mare. I due più grandi hanno il nome delle saghe dell'Edda: Midgar, come il mondo dell'uomo e Helheim, come il mondo degli inferi. Il rumore dei blocchi che si staccano è quello del tuono, il rumore delle guerre dei giganti del nord dai quali hanno origine tutte le cosmogonie vichinghe.
Giganti come l'ultimo nato, l'iceberg staccatosi dal ghiacciaio Petermann il 19 luglio: 120 chilometri quadrati ora in viaggio verso l'oceano. Il Petermann è dall'altra parte della Groenlandia, sul lato canadese ed è tra i più attivi. Due anni fa da lì si staccò un'altra città galleggiante di 250 chilometri quadrati.
Città fantasma che navigano verso sud, indifferenti alle rotte umane, come quella che sta tenendo la barca di Julius che sfreccia accanto ai blocchi bianchi che la luce della sera infinita tra poche ore trasformerà in castelli con torri di guardia, piramidi ribaltate dall'ira di dei scomparsi, anfiteatri vuoti dopo una tragedia, urobori, elmi di giganti abbattuti, leoni che vegliano tombe, orsi che si tengono per mano o qualsiasi altra fantasia che la nostra ombra mentale getterà nel fuoco del sole che ancora per almeno un mese non riuscirà a tramontare.
Il rispetto della distanza, il rispetto per i giganti che dormono sull'acqua accomuna tutti gli inuit che in questi giorni accompagnano una cosa che non è una vacanza, anche se Rocco Ravà di Spazi d'avventura questo organizza per vivere, né una spedizione né niente di visto prima.
Forse è come dice Tobias, cinquant'anni, nomade fino a venticinque, il più rispettato cacciatore di Tasiilaq, la capitale (1.600 abitanti) della costa orientale, scegliendo le parole che più si avvicinano al nostro modo di pensare: "Sense of nature", senso della natura. Quella facoltà che a volte gli fa bloccare la barca in mezzo al Sermilik o all'Angmagssalik e gli fa dire prima che tutto accada: "Balena".E la balena poco dopo, come richiamata da un'intesa segreta con il cacciatore, esce dall'acqua. Sense of nature.
La caccia, soprattutto nei brevi mesi estivi di luce continua, è la prima preoccupazione di un inuit. Il ghiaccio che può bloccare la navigazione e mandare in fumo le scorte per l'inverno la seconda, uguale e contraria. E' così a Kulusuk, il paese (300 abitanti) più a sud dove c'è l'aeroporto e dove un branco di narvali, le balene-unicorno, è appena rimasto imprigionato dando vita a una mattanza che sarà ricordata per tutto l'anno. A Tinitequilaq (200), con i cani da slitta di Paulus che procura il salmone per i pochi viaggiatori stremati ospiti nella casa comune dove è possibile farsi una doccia e fare un bucato, legati alle catene a ingrassare e risparmiare l'energia necessaria per il lavoro che li attende tra pochi mesi.
A Sermiligaq, con le pelli di foca appese fuori dalle case a essiccare nel fiordo che porta a uno dei più grandi spettacoli del mondo, il Knud Rasmussen Gletcher, il ghiacciaio che si abbatte in mare con un fronte di tre chilometri e che segna il confine tra dove l'uomo può e non può andare. Fin qui un secolo fa arrivò Rasmussen, il primo grande esploratore, mezzo inuit e mezzo danese proprio come Julius. A chiudere il cerchio artico, a cercare quello che mancava per collegare il mare dell'est con l'ultima Thule dell'ovest. Qui, dove il rumore del tuono è quasi continuo, le onde che alzano i blocchi caduti fanno ballare le barche degli inuit e la fabbrica degli iceberg non si ferma mai.




martedì 3 luglio 2012

La crisi in Mali

POSTATO dal prof d’italiano:

Interessante articolo pubblicato da la Repubblica il 1 luglio 2012: leggetelo e cominciate a pensare agli Stati del Mondo che studierete in Terza.


Mali, lo sfregio degli islamisti:
distrutti i mausolei di Timbuctù
di Pietro Veronese
Con un gesto dettato dal fanatismo, e di suprema ottusità politica, le milizie legate ad Al Qaeda che occupano la città di Timbuctù in Mali hanno distrutto con picconi, zappe e scalpelli alcuni mausolei musulmani venerati dalla popolazione locale. Questa iniziativa insensata è, a quanto pare, una risposta alla decisione presa giovedì scorso dall'Unesco (su richiesta del governo maliano) di iscrivere la mitica Timbuctù nella lista del patrimonio mondiale in pericolo. Secondo le testimonianze raccolte dall'agenzia France Presse, gruppi di combattenti dell'organizzazione Ansar Dine hanno circondato i luoghi di sepoltura e di culto che sorgono alla periferia della città e al consueto grido di «Allah Akbar», Dio è grande, hanno preso ad abbatterli. Si tratta di strutture di terra battuta sorrette da intelaiature in legno, simili a delle piccole piramidi tronche, cosicché l' opera di distruzione non ha richiesto grandi sforzi né tempo. I monumenti ai sant'uomini dell'Islam presi di mira sono quelli di Sidi Mahmoud, Sidi Moctar e Alpha Moya; ma ce ne sono a Timbuctù altri tredici, insieme a tre celebri moschee. La stessa agenzia di stampa ha parlato per telefono con un portavoce degli Ansar Dine a Timbuctù, Sanda Ould Boumama, il quale ha dichiarato l'intenzione di «distruggere tutti i mausolei della città senza eccezioni». Egli ha anche confermato che si tratta di una decisione presa «in nome di Dio» in risposta alla mossa dell'Unesco. «Gli islamisti - ha confermato un testimone - hanno detto che visto che l'Unesco vuole immischiarsi nei fatti loro, mostreranno di cosa sono capaci». Per il governo legittimo l'operato degli estremisti islamici è invece un «crimine di guerra». Va tenuto presente che Timbuctù fa parte del Patrimonio mondiale Unesco dal 1988: l'iscrizione di giovedì scorso riguarda la lista dei siti minacciati. Sono ormai tre mesi che la celeberrima capitale del deserto, fondata intorno all'anno Mille e da secoli ormai ridotta a un'ombra del suo passato splendore, è nelle mani degli Ansar Dine (o Eddine, secondo la grafia adottata), cioè i "difensori della fede", una formazione estremista islamica che in alleanza con un'altra organizzazione armata dei Tuareg ha cacciato le truppe governative da tutto il nord del Mali - stiamo parlando di una vastità desertica grande quasi tre volte l'Italia - proclamandovi una repubblica indipendente, l' Azawad. Sotto i loro stendardi neri sui quali sono iscritti dei versetti del Corano, gli Ansar Dine sono la componente più estremista di questa alleanza anche se probabilmente non la più forte. Il loro capo, Iyad Ag Ghali, ha affermato esplicitamente la sua volontà di introdurre la forma più rigorosa di legge coranica nelle zone da lui controllate, incluse la mutilazione dei ladri e la lapidazione delle adultere. Le testimonianze di fustigazioni e della messa al bando del gioco del calcio, dei videogame, della musica si vanno moltiplicando. Si tratta di provvedimenti senz'altro impopolari e ancor più sembra esserlo l'abbattimento dei mausolei di Timbuctù che secondo la credenza popolare avevano il potere di proteggere la città. Dopo la presa di Timbuctù e di Gao, il maggior centro del nord del Mali, i rapporti tra gli Ansar Dine e l' altra organizzazione - il Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad - si erano fatti molto tesi. A fine maggio tuttavia i due movimenti hanno annunciato la loro imminente fusione. La situazione resta tuttavia molto fluida ed instabile. Dopotutto proprio a Timbuctù sorge il monumento che ricorda la "Fiamma della Pace", il grande falò di armi che segnò la fine della rivolta Tuareg degli anni 90. Il più entusiasta sostenitore di quell'accordo fu Iyad Ag Ghali, l'odierno capo degli Ansar Dine: promesse scritte nella sabbia del deserto.

lunedì 2 luglio 2012

Benefici della matematica

POSTATO dal prof d’italiano:

Be’, questo articolo (tratto da la Repubblica del 29 giugno 2012) avrebbe dovuto postarlo la prof di matematica, ma visto che lei non lo fa, lo faccio io.


La matematica aiuta a vivere meglio
a 30 anni il picco dell' istinto dei numeri
di Elena Dusi
La matematica è un istinto che cresce e invecchia con noi. Come la forza dei muscoli, la capacità di manipolare i numeri si rafforza rapidamente nei bambini, raggiunge il massimo intorno ai 30 anni di età, poi inizia lentamente a decadere. In maniera sempre simile allo sport, un buon allenamento sui banchi di scuola migliora il rapporto con cifre e insiemi. E fa sì che l'agilità nelle operazioni resti intatta nonostante gli anni. Il senso dell'uomo per la matematica ha la forma di una curva a forma di scudo, con il picco che coincide con la tarda gioventù. L'hanno messa insieme per la prima volta i ricercatori dell'università di Baltimora sottoponendo a un test numerico 10mila persone tra gli 11 e gli 85 anni. Raccogliere un numero così grande di "cavie" è stato possibile grazie a Internet, che sempre più spesso viene sfruttato negli esperimenti scientifici su larga scala per la sua capacità di riunire grandi coorti di volontari provenienti da tutti i paesi del mondo. Il test proposto dai ricercatori (ancora disponibile in rete su www.panamath.org) misura una funzione innata del nostro cervello: il sistema numerico approssimativo. Sullo schermo di un computer, per un tempo brevissimo, vengono proiettati due gruppi di cerchi di due colori diversi. I volontari devono decidere quale dei due gruppi è più numeroso. La capacità di soppesare e confrontare due quantità anche senza calcolarne la cifra esatta ha accompagnato la storia della nostra specie. Insieme alla geometria appartiene (in forme meno specializzate) anche ai bambini di pochi mesi e ad alcune tribù aborigene o amazzoniche che non hanno mai affrontato la matematica sui banchi. Alcuni esperimenti l'hanno riscontrata perfino in scimmie, piccioni e ratti. E i neurologi hanno individuato l'area dell' "istinto per i numeri" nel solco intraparietale: una delle pieghe della corteccia del cervello situata verso la nuca. Lo studio uscito su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) conferma che ottenere buoni voti, dalle elementari all'università, rende l'istinto più acuto e meno vulnerabile all'età. Curiosamente però, lo stesso numero della rivista pubblica un altro articolo che bacchetta gli scienziati. Loro per primi sarebbero troppo refrattari all'uso dei calcoli, con buona pace di Galileo secondo cui il grandissimo libro della natura è scritto in lingua matematica. Le pubblicazioni scientifiche che contengono molte equazioni, secondo lo studio di Pnas, vengono citate negli articoli scientifici successivi il 50% in meno rispetto a quelli scritti completamente nel "linguaggio delle lettere". I ricercatori dell'università di Bristol che hanno misurato la pigrizia numerica dei loro colleghi suggeriscono di migliorare la preparazione matematica dei laureati nelle materie scientifiche. Ma secondo gli esperti di Baltimora, svolgere più operazioni sui banchi può migliorare l' "istinto dei numeri" nella popolazione in generale, aiutando chi invecchia a mantenere l'agilità mentale. «Abbiamo scoperto - scrivono gli autori - che la sensibilità ai numeri cresce durante l'età scolare e diventa massima intorno ai 30 anni. Questo miglioramento è comune a tutti, ma ci sono profonde diffidenze tra individui della stessa età. Quelli che vanno meglio in matematica a scuola, restano i più bravi per tutta la vita». Il sistema numerico approssimativo serviva ai nostri antenati a misurare, ancorché a spanne, il mondo della natura per decidere quale fonte di cibo era più abbondante o per darsi alla fuga nel momento in cui i nemici erano troppo numerosi. Oggi saper confrontare due insiemi può aiutare a scegliere la fila più corta o a sommare a grandi linee le calorie introdotte con la dieta. Cambiato il contesti, affidarsi al senso del cervello per i numeri conviene ancora.