sabato 19 maggio 2012

Un attentato a scuola...

POSTATO  da Eleonora Pavan:
Questa mattina, mentre molti di noi aspettavano il suonare della campanella di inizio delle lezioni  o erano in macchina per venire a scuola, degli studenti come noi vivevano una terribile esperienza che non dimenticheranno mai...
Roma, 19 maggio 2012 - Dolore e sdegno in tutta Italia per l'attentato che questa mattina ha sconvolto Brindisi. Pochi minuti prima delle 8, due, forse tre esplosioni hanno investito gli studenti dell'istituto 'Morvillo-Falcone' provocando la morte di una 16enne ed il ferimento di altri ragazzi, tra cui una 15enne che versa in condizioni gravissime. Al momento non si esclude nessuna pista anche se quella mafiosa sembra essere la più accreditata.
Gli investigatori suppongono che  la scuola sia stata presa di mira per il fatto che l'istituto è intitolato al giudice FALCONE e alla moglie MORVILLO , assassinati dalla mafia; inoltre si aggiunge il fatto che la scuola ha vinto la prima edizione del concorso sulla legalità con il manifesto sotto riportato. 


Questi ragazzi sono un modello di straordinario coraggio, perché a viso aperto hanno ricordato il grande esempio di legalità che sono stati i giudici Falcone e Borsellino nella loro lotta contro la mafia.


E noi cosa possiamo fare per non rendere vani i sacrifici di queste persone?
L'immagine dello spot dell'Istituto

POSTATO dal prof d’italiano:

Aggiungo questo articolo, pubblicato su la Repubblica il 20 maggio 2012:

QUEI QUADERNI BRUCIATI SULL’ASFALTO
di Francesco Merlo

L’unica cosa viva è la ragazza morta in questo Medioriente che ci arriva in casa. Anche le bombole di gas sono l’esplosivo del disperato, l’estetica dei palazzi è da geometra, il paesaggio è la periferia di un Meridione remoto, «il sud del sud dei santi» lo chiamava Carmelo Bene che vi era nato e cresciuto.
E nella folla c’è una telegenica, crudele familiarità col dolore, la collera scontata nel canovaccio dei cori dell’Italia meridionale: «E adesso ammazzateci tutti». Solo i resti per terra sono una semina della modernità: lo zainetto, il quaderno e la scarpa da tennis diventano didascalia e album, dettagli che raccontano e documentano l’eguaglianza dei diversi. Tutte le ragazze del mondo infatti, in Inghilterra come in Pakistan, a Milano come a brindisi indossano gli stessi abiti, annotano gli stessi diari, fanno della fantasia e della creatività una stessa divisa, anche se gli orizzonti e il destino raramente si somigliano. Li avessimo visti sparpagliati per terra senza sapere nulla della bomba, questi frammenti di scuola e questi brandelli di eleganze ci avrebbero comunque procurato un po’ dell’angoscia e della rabbia che proviamo adesso.
La scarpa da tennis numero 36, per esempio, che è il simbolo internazionale della gioventù, della disinvoltura e dell’andare per strada senza fermarsi mai, ora nello spazio che sta davanti alla scuola è un relitto, è il naufragio della vita, è la fine dell’innocenza. E al primo sguardo fanno tenerezza il quaderno bruciacchiato e il diario squadernato, ma poi ti monta dentro un bisogno di giustizia o meglio ancora di spietata vendetta per quei capelli, per l’anello, per la borsa di plastica e per quel foglio d’agenda che vola via. E anche noi come Borges «vediamo gli odori», gli odori di carne bruciata: li «vediamo» perché come lui siamo diventati ciechi e nessuno capisce nulla. Tutte le congetture franano: la mafia, il terrorismo, gli albanesi, i greci, la follia, la passione e c’è ovviamente la retorica che si affaccia qua e là, ma anche quella è un rifugio di vita.
E in quei pezzi di plastica esplosa, in quella giacchetta stropicciata, annerita e bucata c’è la paura che possa accadere ancora, in qualsiasi altro angolo d’Italia: la morte come contagio. Ed è inutile cercare una trama, un tracciato da percorrere con la matita, dagli astucci ai cerchietti per i capelli, dalle cinture alle scatolette piene di rossetti e forbicine. C’è persino una pomata antiacne, e poi forbicine, fazzoletti di carta, panini imbottiti, caramelle e, nel mezzo, la silhouette con quel bianco definitivo che la polizia usa per disegnare i confini dell’assenza. Per terra non c’è la geografia di una fatalità ma di un crimine, c’è l’incubo degli anni di piombo, quelli degli agguati e delle bombe.
E anche i fischi ai politici e al vescovo per una volta sono fuori luoghi. Tutto il rituale funebre e la messa in scena collettiva diventano ostacolo alla ragione e intralcio auto assolutorio dinanzi alla morte di una sedicenne. Al posto dei lumini e dei fiori qui ci vuole l’intelligenza dei reparti speciali e della scientifica, il ritorno e la forza dello Stato. Ma diciamo la verità, nessuno può rimettere in ordine queste atroci rimanenze sull’asfalto. E nessuno potrà mai risarcire le famiglie, la città e lo sguardo di chi ha visto, il nostro sguardo oltraggiato. Oggi anche la scrittura più sincera è retorica, e anche le mie parole sono diventate cieche.


1 commento:

  1. commento di Nicola Girolimetto:

    questo credo che sia il post più significativo di questo blog...
    Eleonora,ti faccio i miei complimenti...
    e speriamo che prendano il malfattore...

    RispondiElimina